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empatia a orologeria

empathy

Da qualche anno a questa parte, da quando si è diffusa la filosofia  (che a volte degenera in ideologia) dell’Attachment Parenting, la parola empatia è sulla bocca di tutti i genitori progressisti.

Mi va di ricordare che l’ empatia (qui su Wikipedia) è “l’attitudine a offrire la propria attenzione per un’altra persona, mettendo da parte le preoccupazioni e i pensieri personali. La qualità della relazione si basa sull’ascolto non valutativo e si concentra sulla comprensione dei sentimenti e bisogni fondamentali dell’altro” .

Si tratta senza dubbio di una qualità umana fondamentale, che ha senso coltivare consapevolmente affinandola giorno per giorno. La capacità di mettersi autenticamente nei panni dell’altro ci regala una esperienza di comunicazione che va ben oltre la comprensione dell’ espressione verbale prodotta da un nostro simile.

Empatia , direbbe la quantistica, è entrare in risonanza con un altro; con le sue emozioni, con il suo personale percorso, mettendo da parte giudizi di carattere morale e personale. Empatia è mettere da parte la propria opinione sulle scelte di qualcuno, per poterlo ascoltare pienamente, per cio’ che si trova ad essere in quel momento.

Ma perchè sospendere il giudizio?

Filosoficamente  potremmo dire che ciascuno di noi compie le proprie scelte con libero arbitrio, eppure, al tempo stesso, per necessità. Il nostro libero arbitrio è infatti sempre la risultante della invisibile  catena di esperienze, di fattori,  di forze causali che hanno agito su di noi dal nostro primo vagito fino al momento in cui prendiamo quella strada, quella decisione. Per questo la nostra libertà è sempre monca; non è una libertà ideale, una libertà pura . Non potrebbe esserlo nemmeno in un mondo quasi perfetto, e a maggior ragione non lo è minimamente in una società che abitualmente offende la vita dei suoi membri con ogni sorta di vilipendio, morale e materiale.

Per questo motivo molti esseri umani non fanno buon uso della propria libertà e fanno scelte controproducenti, sfortunate, incomplete; in una parola : sbagliate. Sbagliate non già e non tanto per principio ma innanzitutto perchè nascono da premesse distorte e conducono su lidi peggiori di quelli di partenza.

Naturalmente è molto piu’  facile accorgersi degli errori e dei limiti altrui, piuttosto che dei propri; non ci è possibile vederci con gli occhi di un osservatore esterno. Proprio la ricerca di una prospettiva oggettiva sui fatti che ci riguardano  è una delle ragioni che ci spinge a cercare il confronto di altre persone, e a volte anche il loro consiglio. Come genitori, in particolare, cerchiamo l’appoggio di individui con figli, che speriamo possano meglio indovinare le nostre preoccupazioni, i nostri sbagli, le nostre incertezze, e magari offrirci , quando non uno spunto illuminante, almeno una solida comprensione che ci rafforzi nei nostri slanci migliori.

Mi capita però spesso di notare ( in particolare su forum e gruppi di discussione genitoriali, dove l’anonimato permette alle persone di esprimersi con maggior sincerità e ferocia; ma anche nella vita reale )  come questo genere di confronto  sia tristemente insoddisfacente. E’ molto frequente che il genitore in difficoltà non riceva nessun tipo di appoggio morale ; che sia aggredito da commenti poco gentili, quando non da giudizi; che si ritrovi suo malgrado a scivolare in una sorta di gogna in cui un’orda di genitori “empatici”si scaglia, forte del sovrannumero, su un individuo solo.

L’autentica empatia, pur non avendo nulla a che fare con l’indulgenza,  è un balsamo per un’ anima sofferente . E’ quantomeno paradossale che diventi essa stessa discrimine di giudizio, laddove un genitore “non empatico” viene additato e deprecato dagli “empatici ” di turno.

Purtroppo non esiste una linea rossa che divida il bambino dall’adulto, e non sono pochi gli adulti che rimangono, in molte aree, del tutto bambini: ancora spaventati, ancora tormentati, ancora troppo suscettibili ai giudizi altrui. Saper riconoscere il bambino negli altri ci aiuta anche a  tenere a freno il bambino in noi, e ad evitare di renderci partecipi di spiacevoli atti di bullismo adulto .

Certo, è senz’altro piu’ facile essere empatici con un bambino (specialmente se è il proprio 😉 ) che con un adulto semi-sconosciuto, un po’ confuso e magari un po’ antipatico ; tuttavia non dovremmo dimenticare che una attitudine empatica non è un lavoro da svolgersi  “a ore”con i propri figli, e da cui staccare timbrando il cartellino, per poi scaricare tutti i propri livori sul primo adulto “sbagliato” che ci capita a tiro (fosse anche il partner! ). Un autentico slancio di comprensione umana verso chi è  altro da noi è un tratto che, una volta sviluppatosi, si estende almeno un poco ad ogni nostro simile, per deprecabili che possano sembrarci le sue parole e le sue azioni.  La persona empatica sa relazionarsi in modo costruttivo, altruistico, non-violento con il prossimo, sia che si tratti del vicino di casa fastidioso, della moglie nervosa, dello sconosciuto impaziente in coda ad un ufficio, o del proprio bambino quando ne combina una delle sue.

Quando invece l’ascolto attento e la sospensione del giudizio diventano chicche riservate alle nostre creature predilette, siamo nell’ambito di una premura personale , familiare, viscerale. Un fatto privato, insomma.  E non è davvero il caso di scomodare la parola empatia per vantarsene.

il salto nella luce

luce

Il tempo passa, e cresce la consapevolezza del problema ambientale. Sempre piu’ persone si rendono conto di trovarsi in una situazione in cui affidarsi al naturale corso delle cose non basta piu’ a tutelare la salute propria e dei familiari:  l’inquinamento è tanto , e tale,  che il vaso è ormai colmo, e non appare saggio scegliere con leggerezza, rischiando ogni volta di scomodare la proverbiale goccia.

Si fanno strada medicina alternativa, fitoterapia, cura scrupolosa per l’alimentazione, approcci olistici alla persona e agli ambienti di vita quotidiana. Questo è encomiabile , e vedere tanta buona volontà mi scalda il cuore.  Devo ammettere che l’onda riformatrice dei “sempre meno pochi”  è in linea con le mie migliori aspettative.

Frequentando i gruppi di genitori “illuminati”, però –  genitori che si impegnano in prima persona in strategie al contempo tradizionali ed innovative , dall’ EC alla dieta vegana , all’educazione montessoriana, i giocattoli educativi, e molto altro –  riscontro spesso un serpeggiante sentimento di sconforto.

Questo è comprensibile. Le informazioni “negative” sono moltissime; processarle , esserne il filtro e l’interprete, farsi carico della loro trasformazione in prassi quotidiana, ha un prezzo. Ne risulta spesso un sentimento di amarezza, di impotenza, di sfiducia nei confronti degli enti istituzionali , di misantropia, di disfattismo.

Il genitore informato troppo spesso è un genitore angosciato, spaventato, deluso.  Assorbe da ogni parte informazioni sconcertanti , e spesso persino contrastanti fra loro. E’ confuso e disorientato. E’ dispiaciuto, talvolta apertamente  rabbioso per non riuscire a fare di piu’ , e meglio, per “la salvezza” dei propri figli.

Questo stato mentale è comprensibile; eppure, è una trappola rischiosa. Si ha paura, e la paura irrigidisce. L’irrigidimento a sua volta  rende scricchiolanti e dolorosi tutti quei movimenti che nella quotidianità della vita familiare normalmente hanno una piacevole fluidità e costituiscono la natura piu’ profonda della cura e del calore che si vivono in un sano nido casalingo.

Pian piano l’attenzione meticolosa al dettaglio si trasforma in nevrosi o in ossessione, e finisce per avvelenare il nostro rapporto con le persone e con le cose.

Si ha quindi il caso della madre vegetariana che aggredisce la maestra perchè il bambino , durante il pasto , ha assaggiato la carne  dal piatto di un compagno; del padre che non permette al bambino di salutare la zia al cellulare per farle gli auguri di compleanno, neppure col vivavoce,  per evitare l’esposizione a EMF; dei genitori che insistono con rimedi della nonna in casi di notevole gravità.

In particolare l’attenzione al cibo sano sconfina nell’ortoressia, che è considerata alla stregua degli altri e piu’ noti disturbi alimentari: in alcuni casi l’osservanza religiosa della dieta sana non permette alla persona di mangiare fuori in compagnia, perchè in nessun ristorante esiste un cibo degno, per lei,  di essere mangiato.

In effetti , esaminando la situazione da un punto di vista del tutto oggettivo, non possiamo esimerci dall’ammettere che l’aria terrestre non è piu’ degna di essere inspirata,  perchè ovunque, anche nei luoghi piu’ impervi e dimenticati, essa contiene contaminanti dispersi dall’uomo . La questione è innegabilmente reale, ha una sua consistenza.

Tuttavia l‘informazione, se ha da essere fatta, deve avere lo scopo di migliorare le nostre vite, non di renderle un salto nel buio, in un inferno di proibizioni e di sensi di colpa. Una vita del genere non sostiene, non nutre, non rafforza i nostri figli. Otteniamo, nonostante le nostre eroiche fatiche , il risultato opposto a quello per cui crediamo di lottare.

Di pari passo all’acquisizione di nuove informazioni è necessario l’aggiustamento , nella pratica, delle attuali strategie. Ci occorre elasticità per crescere di pari passo ai nostri figli: dobbiamo continuamente cambiare, provare nuove strade, sperimentare nuove soluzioni, in ogni ambito. Bisogna essere pronti a rimettersi incessantemente  in gioco e a correggere il tiro, anche quando questo ci rende un po’ incoerenti agli occhi di un mondo cui  un po’ troppo spesso, sentendoci sotto ai riflettori,  raccontiamo le nostre scelte con toni veementi e un po’ apocalittici, che rendono bruciante una successiva ritirata.

Bisogna essere pronti ad accogliere le informazioni difficili, tradurle in pratica e farne i nostri “attrezzi di lavoro” . Ma occorre anche essere capaci di dimenticarle  non appena entriamo nella piu’ delicata sfera emotiva. Agire in modo sostenibile e costruttivo  ha infatti, come suo corrispettivo, sul piano interiore, il coltivare un amore spassionato per la realtà in tutte le sue declinazioni, anche in quelle meno felici;  un sentimento che ci permetta di curarla come una piantina un po’ patita, con calma e pazienza, senza arrabbiarci perchè non cresce, perchè ha poche foglie, perchè non è verde e rigogliosa come avevamo sperato.

I nostri figli non meritano soltanto l’alto contatto in fascia,  il giocattolo in legno, i granuli omeopatici, i biscotti fatti in casa senza glutine, la scuola libertaria o Montessori, i pannolini in stoffa, e tutte le altre cose belle ed utili che popolano il nostro mondo di “genitori consapevoli”. Essi meritano anche , e soprattutto, il nostro equilibrio e la nostra serenità. Meritano che noi trasmettiamo loro, attraverso scelte coscienziose, l’ amore per la vita, non il terrore di una cattiva morte.

La consapevolezza piu’ profonda e preziosa che possiamo trasmettere ai nostri bambini  si puo’ riassumere nel messaggio: ” Tu sei amato. La Terra è un bel posto in cui vivere”. Il resto del nostro lavoro , ed il tormento interiore che spesso ne deriva, è la nostra nemesi generazionale; ma non deve diventare il loro fardello. Dopo aver smantellato i vecchi idoli, dobbiamo portare fuori le macerie in silenzio, senza caricarle sulle loro giovani spalle.

Perciò  credo che sia fondamentale avere cura di sè e dei propri pensieri :  coltivarli come un giardino scegliendo le sementi giuste, sfoltendo le erbacce, riassettando i viali, potando gli alberi da frutto e creando spazi ordinati in cui sia possibile interagire con gli altri in serenità. Questo  equilibrio dell’anima non è la destinazione,  ma il punto di partenza per un mondo migliore, e merita quindi di essere il primo obiettivo da perseguire, il primo orizzonte a cui tendere noi , genitori e non solo,  in quanto uomini e donne di buona volontà.