La parola liberazione è quanto mai inadatta a ricordare una festa che , come si è già riflettuto su queste pagine, ha visto un paese passare da un giogo ad un altro; un giogo piu’ subdolo ma altrettanto odioso e, a suo modo, violento.
Per dimenticare come la parola liberazione sia tanto spesso usata a sproposito, oggi vorrei riflettere sul testo di una canzone di tradizione ebraica, che venne tradotta in inglese e riproposta dalla corrente folk americana negli anni ’60 ( potete sentirla cantare dalla bella voce di joan Baez qui).
Trovo estremamente interessante e significativo che questa canzone, così poco banale ed autocommiseratoria, sia stata scritta da un popolo che porta in sè la memoria di molte persecuzioni.
Come è ovvio alla psicanalisi, e , da sempre, prima di essa, alle religioni – ma come troppo spesso si dimentica nell’analisi politica e sociale – qualsiasi dialettica carnefice-vittima presuppone un tacito (o , se preferiamo, inconscio) accordo fra le parti. Prendere coscienza di questo “accordo” puo’ essere tanto piu’ odioso quanto piu’ le sue radici sono rimosse e lontane nello spazio e nel tempo dalla nostra comprensione cosciente. Il concetto di “destino” ( o di “karma” nella cultura orientale ) indica proprio l’ esplicarsi di una forza interiore che va oltre l’arbitrio razionale dell’uomo, sospingendolo verso il concretizzarsi di quegli eventi (spesso autodistruttivi) che, soli , possono comportare una necessaria trasformazione lungo il cammino per la ricerca del proprio Sè.
In questo senso il “destino” non è che l’ovvio percorso interiore che si snoda lentamente verso la luce: qualsiasi evento , se perviene ad accadere, risponde ad un intimo arbitrio ed è necessario a compiere questo percorso di individuazione . Ecco perchè il concetto di liberazione puo’ essere apprezzato appieno solo nell’ottica religiosa e spirituale dell’immortalità dell’anima e della possibilità di una redenzione oltre la vita fisica. Non esistono una giustizia o una libertà terrene: esistono solo vari gradi di schiavitù, vari gradi di ingiustizia, e noi abbiamo il dovere , in questa vita, di anelare al minor male possibile e di batterci per esso; ma non è tutto. E’ la nostra anima a dover volare libera nel cielo, e questa libertà interiore non puo’ essere concessa o revocata all’ uomo da un suo simile.
Ho tradotto per voi il testo di questa dolce canzone in versi che possano essere cantati sulla musica originale; potete trovare gli originali qui.
DONA DONA
Sul sentiero per il macello Al mattino il fattore va Sul suo carro piange il vitello Che già sa cosa gli accadrà
Soffia forte il vento Con tutta la forza che ha, Giorno e notte ride e di chi soffre non ha pietà
Dona, dona, dona, dona,
Dona, dona, dona, do,
Dona, dona, dona, dona,
Dona, dona, dona, do.
“Perchè piangi?” dice il fattore, Non ho colpa per ciò che sei,
Su nel cielo guarda la rondine,
Perchè tu non sei come lei?”
Soffia forte il vento Con tutta la forza che ha , Giorno e notte ride e di chi soffre non ha pietà
Spesso l’uomo come il vitello
Senza opporsi al macello va
Ma chi vola come la rondine
Si conquista la libertà.
Soffia forte il vento Con tutta la forza che ha , Giorno e notte ride e di chi soffre non ha pietà.
bellissima e verissima riflessione. Molto profonda.